
Alcune studentesse indossano il velo integrale - Ansa
Prima di entrare in classe alle 8 in una stanza appartata la referente dell'istituto superiore Sandro Pertini di Monfalcone (Gorizia) alza il velo nero e si sincera che a entrare a scuola sia l'allieva iscritta. È la prassi, non codificata ma adottata, per le studentesse islamiche - molte bengalesi - che per fede indossano il niqab a lezione. Sono cinque ragazze. Una soluzione non traumatica che garantisce la continuità scolastica - che per la dirigente, Carmela Piraino, è il vero obiettivo delle istituzioni evitando che "le le ragazze lascino la scuola" - intorno alla quale si possono agganciare vari spunti di riflessione.
La pubblicazione di un articolo su un quotidiano locale dell'esperienza del Pertini ha però scatenato le cicliche polemiche politiche sul velo, i cui contorni si allargano al più complesso fenomeno migratorio e, nello specifico di Monfalcone, alla nutrita presenza di una comunità musulmana, soprattutto quella più ortodossa bengalese. Presenza da anni oggetto di scontro con l'amministrazione leghista del Comune. Ieri mattina dopo raffiche di comunicati di vari esponenti, è stata convocata una conferenza ad horas a Monfalcone con i vertici regionali della Lega e la battagliera ex sindaca (europarlamentare oggi) Anna Maria Cisint. «Presenteremo con la massima urgenza una mozione e un progetto di legge regionale per vietare l'utilizzo del niqab nei luoghi pubblici, a partire dalle scuole» ha annunciato Marco Dreosto, senatore e segretario Lega Fvg. Non è solo una questione di sicurezza, puntualizza la Lega Fvg, che pure ha il suo peso: si vuole «impedire l'oppressione delle donne, dal momento che moltissime ragazze sono costrette a usare il niqab». Il pensiero corre a Svizzera, Danimarca, e alla Lombardia, dove esistono già norme specifiche. Per un obiettivo finale che «è far diventare il divieto un indirizzo comunitario».
E proprio in Lombardia, in Consiglio regionale a Milano si è aspramente discusso su due mozioni, una della Lega che chiede di vietare l'uso del velo come il burqa o il niqab negli edifici pubblici, anche comunali, e a scuola, e una del Pd per ribadire «che nessuno può imporre alle donne come vestirsi, sia esso Stato, Regione, famiglia, singoli individui o altro, riaffermando la centralità dei diritti delle donne e della loro autodeterminazione». La scorsa settimana proprio il Carroccio ha presentato una proposta di legge e un'interrogazione al Parlamento europeo sempre sullo stesso tema. Ini particolare, la pdl vieta di indossare indumenti «atti a celare il volto, come nel caso del burqa o del niqab, non solo per motivi di ordine pubblico», ma anche per un principio, costituzionalmente sancito, di «rispetto della dignità della donna». Dura la pena: fino a due anni di carcere e una multa fino a 30mila euro oltre che la preclusione dalla richiesta di cittadinanza. Il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha liquidato la mozione leghista come «una delle tante, piccole, inutili polemiche politiche. I problemi non sono qui, sono altri - ha aggiunto - Il problema è parlare di un'immigrazione che oggettivamente serve, soprattutto alle città e che va gestita, regolamentata il meglio possibile».
La Garante dell'infanzia Terragni: «Il niqab ostacola lo sviluppo della personalità»
Sul caso di Pordenone ha fatto il suo primo intervento ufficiale la nuova Garante dell'infanzia Marina Terragni: «Le notizie che ci arrivano da Pordenone - alcune studenti del locale istituto professionale costrette a essere “identificate” da un'insegnante a ogni ingresso a scuola perché il loro viso è nascosto dal niqab, velo integrale - sollevano molte preoccupazioni sulla libertà di queste ragazze e sulla loro effettiva integrazione nel contesto scolastico e sociale. La necessità di un efficace dialogo tra culture non può impedire di osservare che talune pratiche contravvengono ai più elementari diritti e ostacolano il pieno sviluppo della personalità di chi è costretta a subirne l'imposizione». Bambine e ragazze, continua Terragni, «devono essere libere di crescere armoniosamente, seguendo ciascuna le proprie più autentiche vocazioni: la consapevolezza che il proprio corpo non può essere in alcun modo umiliato e mortificato fa obbligatoriamente parte di questo percorso. L'auspicio è che sul caso di Pordenone e su ogni caso analogo il Ministero dell'Istruzione e del Merito ponga la massima attenzione».
Un problema quindi che, oltre agli aspetti giuridici, investe direttamente quelli educativi di cui la scuola, anche e soprattutto in questi casi, deve farsi carico. Se è giusto, come riferisce la referente dell'Istituto Pertini di Monfalcone, assicurare la continuità didattica anche alle ragazze islamiche, è altrettanto giusto garantire un percorso educativo con una duplice valenza. Da un lato approfondire, come giustamente sottolinea la Garante per la l'infanzia e l'adolescenza, il tema del corpo, con proposte equilibrate in grado di offrire una lettura serena tra le abitudini sempre più disinvolte - talvolta al limite della sguaiatezza - delle adolescenti occidentali coinvolte e rapite dalle derive del "tutto in mostra" e quelle repressive e oscuratiste dettate da una lettura coranica oltranzista, per cui il corpo femminile dev'essere nascosto e quasi negato.
Ma, sullo stesso piano, c'è anche l'esigenza di proporre alle studentesse un profilo alto della nostra civiltà del rispetto e della tolleranza, capace di includere senza dicriminare ogni credo religioso, a patto che i simboli - come appunto il velo integrale - non finiscano per negare la dignità stessa della persona e, in particolare, stabiliscano una discriminazione di genere ormai inaccettabile. Percorsi difficili, certo, che per essere davvero efficaci dovrebbero coinvolgere anche le famiglie, quelle che "suggeriscono" e talvolta impongono alle figlie modelli culturali e abitudini problematiche, anche nell'abbigliiamento. Ma qui la scuola ha scarse possibilità di penetrazione se non riusciremo ad allargare il discorso a modelli di integrazione più volte evocati e mai davvero perseguiti, tra resistenze culturali e incerte volontà politiche.